NOCI – È stato da poco dato alle stampe l’opuscolo La passatella: “Patrune” e “Ssòtte” secondo tradizione a Noci, firmato dal nocese Cesareo Putignano, con prefazione di Pietro Sisto e posfazione di Nicola Simonetti.
Oggetto della disamina dell’autore è questo antico gioco di costume, molto diffuso sin da tempi antichi e di cui viene riproposto il regolamento, le modalità di gioco e i suoi esiti. L’intento è quello di far conoscere ai giovani di oggi, persi nei loro mondi virtuali, i passatempi dei loro genitori e nonni. Attività che i giovani internauti farebbero fatica anche solo ad immaginare e che invece costituiscono il nostro prezioso “ieri”, da conservare, proteggere e, se utopicamente si potesse, da riproporre.
Quello preso in esame da Cesareo Putignano è un gioco di intrattenimento, durante il quale un “padrone” e un “sotto”, eletti o sorteggiati, distribuivano arbitrariamente il vino (o la birra) acquistato collettivamente: a chi niente e a chi troppo.
Lasciamo ai lettori il piacere di scoprire meglio le varie dinamiche in atto acquistando presso le edicole e cartolibrerie nocesi il testo di Cesareo Putignano, che ai nostri taccuini ci presenta un po’ il suo lavoro, proponendo alcune interessanti riflessioni sul nesso passato-presente e sull’utilità indiscussa dei giochi nel processo di formazione e crescita, individuale e collettiva.
Innanzitutto quando e come nasce l’idea di scrivere della passatella?
L’idea, maturata in un contesto giocoso, nasce nel tempo sospeso della pandemia. Sono stato indotto dagli amici con cui ho avuto frequentazioni di ‘convivialità’.
La lettura dell’opuscolo consentirà, soprattutto ai più giovani, di scoprire questo gioco. In breve, può dirci come si svolgeva?
È dedicato, soprattutto, ai giovani allo scopo di conservarne la memoria storica con le sue peculiari ritualità giocose dove si registra la negazione del concetto, chiaramente negativo, di ‘distanziamento sociale’. Ed è un gioco che, a mio sommesso avviso, prepara alla vita! Senza enfatizzarlo, però, più di tanto, perché vi sono aspetti e conseguenze chiaramente ‘riprovevoli’.
Alla base, dunque, vi è un annullamento delle differenze di classe. Questo come avveniva?
Sì, come già detto non c’è ‘distanziamento sociale’. Vi partecipavano giovani ed anziani, eruditi ed incolti, imprenditori ed operai, intellettuali ed analfabeti, galantuomini e cafoni. Spesso, per la fortuna delle carte, si verificava un ribaltamento delle situazioni, come una sorta di ‘emancipazione’ dell’emarginato che si riscattava nel ‘comandare’ il gioco e nello sfottò, privando del bicchiere di vino o birra anche il personaggio ‘importante’. Ci sono evidenti parallelismi con la vita sociale e politica.
Questa dinamica richiama alla mia mente gli antichi Saturnali, una festa romana che ha origine in epoca lontanissima, avanti Cristo, durante la quale i ruoli ordinari venivano allentati e, addirittura, capovolti tanto che lo schiavo si comportava da padrone. Quanto questi spazi ludici in cui le marcate differenze sociali si annullano sono essenziali per la crescita e l’equilibrio di una comunità?
Ecco, appunto, dici bene. Si realizzava, in qualche misura, il rovesciamento delle classi. I dominati che finivano per dominare. Erano protagonisti i più deboli che, nel gioco e solo nel gioco, dettavano le condizioni invece che subirle. Però questi riti non si ‘consumavano’ solo nei dì di festa (in occasione, appunto, dei Saturnali, che erano feste – come dire – ‘stagionali’), ma nei fine settimana di ogni tempo, soprattutto nelle osterie romane. Spesso, però, fonte di litigi che sfociavano in veri e propri atti violenza che comportavano, perfino, azioni delittuose, raccontate in film e romanzi.
Una domanda a più ampio raggio, che le pongo in qualità di educatore. I tempi sono cambiati, i giochi che hanno caratterizzato la sua infanzia hanno lasciato spazio a un mondo, ora più che mai, digitalizzato, dove persino il termine condivisione si riduce ad una sterile operazione social. I giochi sono diventati video-giochi, molto spesso pericolosi. Cosa pensa in merito? Quanto i giochi del passato in senso lato assumevano una funzione educativa che ora si è persa?
Sono assalito quotidianamente dalla preoccupazione al solo pensiero che i nostri figli, anzi, i nostri nipoti, nativi digitali, intrattengono un rapporto, che ritengo di natura ‘patologica’, con i giochi praticati attraverso i social. Esclusivamente con la tecnologia! Ignorano la bellezza dei giochi di strada, semplici e creativi. Era, appunto, un tempo la partecipazione collettiva, solidale, di gruppo che alimentava la loro crescita. Si sviluppavano importanti capacità intellettive, si arricchiva la genialità, si praticava salutare motricità. Oggi sono chiusi nelle camerette col rischio di essere ‘fagocitati’ dai cosiddetti Tik Tok che comportano rischi e pericoli per la salute (perfino suicidi programmati) che le recenti cronache ci hanno messo davanti. In questo contesto va affrontato seriamente il tema della nuova ‘genitorialità’, in crisi purtroppo da qualche tempo, verso la quale le istituzioni devono dare risposte convincenti. Ma il discorso si fa grande e non giova affrontarlo in questa circostanza!