NOCI – Giovedì 3 giugno, presso la Sala degli Specchi della Prefettura di Bari, è stata consegnata al nocese Nicola Giacovelli la medaglia d’onore concessa ai cittadini italiani – militari e civili – deportati e internati nei lager nazisti.
Classe 1921, Nicola Giacovelli, portò la sua dolorosa testimonianza, il 30 maggio 2019, in una serata dedicata proprio alla storia degli internati militari. Il padre era morto in guerra. Giacovelli fu internato in un lager a Berlino, sotto continui bombardamenti e in condizioni igienico-sanitarie praticamente assenti. Arrivo a pesare soli 37 chili. Assegnato ad una fabbrica di mitragliatrici, prima che questa fosse completamente distrutta, con i suoi compagni si chiedeva che senso avesse continuare a fabbricare macchine di morte se l’arrivo degli alleati era vicino. Tuttavia non furono gli americani bensì i russi che, dopo aver liberato Auschwitz, giunsero a liberarli. In Russia trascorse cinque mesi. Con Giacovelli c’erano altri cinque nocesi, ora purtroppo scomparsi.
La tragica vicenda degli IMI ha inizio l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio sottoscritto dall’Italia con le Forze Alleate. I militari italiani, catturati e disarmati dalle truppe tedesche in Francia, Grecia, Jugoslavia, Albania, Polonia, Paesi Baltici, Russia e Italia stessa, venivano caricati su carri bestiame e avviati verso una destinazione a loro sconosciuta: i lager del Terzo Reich, che erano sparsi un po’ dovunque in Europa, soprattutto in Germania, Austria e Polonia. Dopo un viaggio in condizioni disumane, una volta arrivati nel lager, i prigionieri venivano immatricolati con un numero di identificazione che sostituisce il loro nome e viene inciso su una piastrina di riconoscimento accanto alla sigla del campo. Tra le formalità d’ingresso ci sono anche la fotografia, l’impronta digitale, l’annotazione dei dati personali su appositi documenti di riconoscimento e la perquisizione personale e del bagaglio. Sin dal primo momento, ai prigionieri, circa 650mila, veniva chiesto con insistenti pressioni di continuare a combattere a fianco dei tedeschi o con i fascisti della Repubblica di Salò. La maggior parte di loro si rifiutò di collaborare, andando incontro così ad una serie terribili sofferenze e privazioni.
In un primo tempo prigionieri di guerra, i militari italiani catturati, deportati e internati nei lager nazisti, il 20 settembre 1943 vennero definiti IMI – Internati Militari Italiani, con un provvedimento arbitrario di Hitler, che li sottrasse alle tutele previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929, per destinarli come forza lavoro per l’economia del Terzo Reich. Sempre per ordine del Führer, d’accordo con Mussolini, gli IMI il 12 agosto 1944 cambiarono nuovamente di status e vennero trasformati in “lavoratori civili”, formalmente liberi. Decine di migliaia di IMI persero la vita nel corso della prigionia per malattie, fame, stenti, uccisioni. Coloro che riuscirono a sopravvivere furono segnati per sempre. A partire da febbraio del 1945, le avvisaglie del crollo ormai imminente della Germania furono preludio alla liberazione, avvenuta in momenti differenti, per lo più tra febbraio e i primi di maggio del 1945. Il rimpatrio, tuttavia, non fu immediato e si svolse soprattutto tra l’estate e l’autunno 1945, da Germania, Francia, Balcani e Russia. Varcato il confine, gli IMI provenienti dalle regioni del Reich venivano solitamente dirottati verso Pescantina, nel veronese, dove era stato istituito un centro di smistamento e accoglienza, e dove si organizzavano i trasporti verso le destinazioni interne al paese.
Nell’Italia del primo dopoguerra la storia degli IMI è presto dimenticata. Loblio è durato a lungo. Gli storici hanno cominciato ad occuparsi degli IMI solo dalla metà degli anni Ottanta: tardi, ma forse ancora in tempo per far conoscere questa pagina di storia e rendere il giusto omaggio ai «650 mila» che, con il loro sacrificio, contribuirono a portare la libertà e la democrazia nel nostro paese.
L’occasione è utile per ricordare questo pezzo della nostra storia. Accanto a Nicola Giacovelli, durante la cerimonia di consegna della medaglia d’onore, il Sindaco Domenico Nisi: «Sono onorato, e lo dico a nome di tutta la nostra comunità, per il riconoscimento giustamente assegnato a questo nostro concittadino. Non è certo la medaglia e ripagare il dolore subito, il segno inferto da quella esperienza. Niente è nessuno può cancellare quello che è stato. Ma possiamo impegnarci per conservare la Memoria. Nicola è patrimonio vivente di Noci e del Paese intero. Facciamo in modo che la sua storia possa essere raccontata ancora, nelle scuole, nelle occasioni pubbliche; che la sua voce possa giungere ai più giovani, perché ne traggano l’insegnamento necessario a fare in modo che le azioni terribili che segnarono allora un tragica battuta d’arresto per la democrazia ed i diritti umani non abbiano più a ripetersi, in nessun luogo e in nessun tempo».