Amme Salamme: il gioco, il dialetto, gli arabismi

NOCI – Come sempre non ha mancato di stupire l’incontro promosso e organizzato dal Centro Studi sui Dialetti Apulo-baresi. Venerdì sera largo torre si è trasformata nel contenitore di una cultura che si è scoperta avere legami con la civiltà araba, e non solo per la lingua.

Dopo l’introduzione affidata ad un videoclip su Amme Salamme, versione arcaica del gioco della campana per la regia di Luca Curci, è Maria Vittoria D’Onghia ad introdurre alla serata. Punto di riferimento è una via, ovvero un luogo, del centro storico di Noci, via Scesciola (oggi via Piave) che conduce alla gnostra di Capegnure.

Via Scesciola, o vico Scesciola, è presente in molte città della provincia barese e gli studiosi ci vedono un legame tra la viuzza e la kasba araba. La kasba e il borgo antico nocese condividono l’intreccio di stradine che le fanno somigliare a dei labirinti. E dal labirinto Mario Gabriele ha guidato tutti a via Scesciola e ne ha sviscerato i segreti, le leggende, e condiviso il pensiero di chi oggi ci vive. Caterina Quarato ha invece interpretato in chiave dialettale due favole tratte da “Le Mille e una Notte”.

Poi spazio al cibo, con ‘U Nazaruéle’ (Pietro Gigante), l’ode al Caciocavallo del giovanissimo Biagio Laera, la poesia sull’albicocca di Domenico Laera ma recitata dal fratello Giovanni, U geleppe (glassa di zucchero) e La Melanzana di Giovanni Laera. Chiude il cerchio del cibo A Surbette, ovvero il primo gelato al mondo nato dalla combinazione della neve con l’estratto di fichi comunemente definito cotto, recitata dallo stesso Gabriele.

L’avvicendamento alla recitazione ha portato anche a scoprire chi era ‘U Zaraffe’, ovvero il mediatore nella compravendita animale, ed il suo sinonimo Rucche Rucche. Termini scoperti da Mario Gabriele leggendo il libro del 1630 in vernacolo napoletano “Lu cunto de li cunti” di Giambattista Basile. È venuto fuori anche quello che fanno le donne A dì de Scirocche, il racconto U Tarì false e u pesce fetente, chi sono i zagagghie e chi invece i tamarri.

Da questi stralci di vita raccontanti in chiave dialettale si è potuto apprendere molto sulla storia dei costumi e delle tradizioni nocesi e dell’Italia meridionale. Ad esempio si è scoperto che Tarì era il termine col quale si identificava la moneta in circolazione nel 1600 nel Mezzogiorno, scomparsa e poi riapparsa fino all’Unità d’Italia; e che i tamarri, non sono dei “cafoni” come nel linguaggio corrente, ma servivano per identificare le scarpe dei lavoratori.

La lettura di tutti i componimenti poetici e i testi sono stati accompagnati da un sottofondo musicale del maestro chitarrista Gianni Pinto. La competenza, lo studio, la passione e l’amore per la lingua dialettale dei relatori è stata ricompensata dal vasto pubblico che ha applaudito a Largo Torre.

amme-salamme-pubblico

Leave a Reply

Your email address will not be published.