Dj Fabo: storia di un “suicidio assistito”

NOCI – È stata una settimana di quelle che politici e religiosi non scorderanno facilmente. Il 27 febbraio alle 11.40, dj Fabo ha volontariamente messo fine alla sua vita in una clinica svizzera. Una notizia che fa rabbrividire. Una notizia che fa riflettere. Una notizia che riporta in scena tematiche ancestrali ma purtroppo attualissime.

Fabiano Antoniani era cieco e tetraplegico dal 2014 a seguito di un incidente stradale. Infinite terapie e lunghi anni di assistenza continua avevano condotto Fabo all’esasperazione, alla sofferenza non più sopportabile e alla voglia di morire. Lui stesso, da tempo, aveva fatto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella un’accorata richiesta per la legislazione sul fine vita. Eppure nulla si era mosso. Il dolore così paralizzante di quest’uomo non era riuscito a scuotere le coscienze della Commissione parlamentare. E per questo, stanco della lotta fisica e di quella legale, Antoniani aveva deciso di emigrare laddove tutta questa insensibilitá non trova abitazione per sentirsi finalmente libero.

“Suicidio assistito” hanno detto i telegiornali, pratica che consente ad un farmaco letale di stoppare il battito cardiaco. “La politica ha perso… l’esilio della morte è una condanna incivile“. Queste le amare parole di Filomena Gallo e Marco Cappato dell’associazione Luca Coscioni che hanno riportato all’attenzione la mancanza dei diritti di chi a vivere non ce la fa proprio più. Una storia, quella di Fabo, che servirà se non altro ad emancipare il nostro Paese. Una storia che divide e fomenta le opposizioni: da un lato la necessità di una legge che permetta la morte, dall’altro la morale cattolica secondo cui Dio dá e Dio toglie. Una storia che in ogni caso ci priverá per sempre della musica di Dj Fabo.

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