NOCI – Sentiamo spesso, da più parti, l’appello a “fare comunità”. È da tempo che mi risuona questa frase e ci ho riflettuto spesso. Fare comunità può essere la cosa più bella al mondo, o una delle più schifose. Beh, sì, c’è questo rischio.
In queste settimane ho vissuto due storie che mi hanno fatto molto riflettere. La prima di un giovane monaco, che per lasciare un segno bello di sé nella comunità ha deciso di diventare il miglior sé stesso possibile. La seconda di un settantenne, un professionista che sì avvicinò ad un gruppo politico per costruire una alternativa al degrado che lo circondava. Diceva così. Alla presentazione delle liste si scoprì che quell’uomo in realtà aveva preso parte ai tavoli nelle vesti di Giuda. In pratica era andato a fare l’impostore, era andato tra i giovani a spiarli per riportare ai vecchi politici. La comunità degli impostori.
Fare comunità presuppone l’azione, l’interazione (il fare) e un insieme di individui (comunità). Se gli individui sono falsi, impostori e traditori il loro fare produrrà schifo. Quello schifo che è facile scorgere nei vari ambiti economico-politico-sociali. E dubito che interagire con questi soggetti porti a qualcosa di buono. Certo nella vita si sbaglia, si può sempre perdonare, ma occorre prima pentirsi e chiedere scusa.
Se vogliamo fare bene comunità conviene prima fare bene individualità. Essere onesti, sinceri e laboriosi con sé stessi e con gli altri, ambire ad essere il miglior uomo che si può essere è il vero fondamento del fare bene comunità. Allora è opportuno che ognuno di noi risponda alla chiamata delle proprie responsabilità.
La prima istituzione in cui sperimentiamo e coltiviamo comunità è la famiglia. Se i genitori rinunciano alla palestra, alla cena, alla chirurgia plastica che li rende più ragazzi dei propri figli, a una ossessiva carriera, nei momenti in cui è chiamato ad essere e fare il genitore, allora sì che possiamo esserci. Riunioni scolastiche in cui i genitori sono assenti, adolescenti in strada fino alle 7.00 del mattino, nessuna limitazione ai social ed a stili di vita dissennati sono un segno di latitanza dell’individuo dalla propria responsabilità. Perché mai dovrebbe sconvolgerci uno stupro, un arresto per spaccio, un atroce assassinio di una minorenne?
Ed infatti l’indignazione e lo sconvolgimento sono spesso fittizie e durano appena due ore. Queste riflessioni mi hanno portato ad apprezzare un certo modo di fare meglio comunità. C’è un uomo che ai suoi amici più stretti, al gruppo di persone che segue i suoi seminari, ai suoi clienti affezionati, cerca di offrire il suo costante impegno ad essere un uomo migliore, in modo autentico e convinto. E vedo che anche gli altri fanno lo stesso con lui, a loro volta. Anche loro lavorano, o ci provano, alla loro sana individualità. Insomma provano a fare comunità mettendo al centro l’individuo, questa cosa mi piace e spesso gli riesce bene.