NOCI – Si consolida nell’alto Medioevo, ma affonda le sue radici nell’Antico Testamento, l’usanza quaresimale del digiuno nei giorni del martedì, venerdì e sabato e della particolare astensione dal consumo di carne e derivati del latte quindi, tra l’altro, del formaggio. La Quaresima è il periodo liturgico di conversione e penitenza che precede la Pasqua, dura ben 40 giorni, per rievocare i 40 giorni che Gesù trascorse nel deserto dopo il suo battesimo nel Giordano, periodo in cui i cristiani sono tenuti a rispettare delle regole ben precise con un unico scopo: favorire il dominio dello spirito sul corpo.
Durante l’intero periodo occorre rispettare le regole dell’astinenza e del digiuno che obbliga i fedeli a consumare un unico pasto al giorno e a sostituire la carne con il pesce, l’antico intento era quello di abolire i cibi privilegiati e costosi. Mentre si rispetta il digiuno occorre pregare, fare la carità e sin dai tempi più antichi si hanno tracce di totale “astensione dalle carni”: in Quaresima era assolutamente proibito avere rapporti sessuali, anche all’interno del matrimonio.
Il canonista Burcardo di Worms nel IX secolo nel suo Decretum (1008-1012) sentenziava: “…Hai peccato con lei (moglie, ndr) in giorno di Quaresima? Devi fare penitenza 40 giorni con pane e acqua o dare 26 soldi di elemosina; ma se ti è capitato quando eri ubriaco, farai penitenza per solo 20 giorni…”.
Durante il periodo quaresimale però si festeggia anche San Giuseppe, esattamente il 19 marzo, festività che ricorre sempre in tale lasso di tempo, a prescindere dalla data della Pasqua, fissata secondo il calendario lunare nella domenica successiva al plenilunio della luna di marzo da cui il detto “nnann’é Ppasche ce nna ffèsce quindadéceme a lune de marze”.
La festa dedicata allo sposo di Maria e padre putativo di Gesù, sebbene inserita in un periodo di digiuno e astinenza, resta comunque nella tradizione popolare meridionale un appuntamento gastronomico importante.
Ben note sono le tavolate di San Giuseppe di tradizione siciliana, tavole imbandite di cibarie di vario genere, offerte come ex voto al santo, usanza legata allo spirito di carità cristiana nei confronti dei poveri.
Anche in Puglia, anche a Noci, la festa di San Giuseppe rappresenta un appuntamento tradizionale importante. Già dal 1908 a Noci fu istituito un circolo cattolico intestato proprio alla figura di San Giuseppe, sotto la guida dell’arciprete del tempo don Francesco Antonio Morea; circolo che nel 1928 aderì all’Unione Uomini Cattolici, cioè all’Azione Cattolica (fondata in Italia nel 1867).
Tra le attività principali del circolo c’erano la processione con il Cristo di Casaboli e la benedizione e la distribuzione del pane il giorno di San Giuseppe, alla fine della Santa Messa, come accade in molti centri meridionali per la festa di Sant’Antonio il 13 giugno. La processione era prettamente maschile e percorreva le strade interne del paese, oggi segue un percorso più lungo.
Dal punto di vista gastronomico, oltre al pane benedetto, ben note da sempre sono i meddìchele di San Giuseppe, utilizzate per condire a tagghjarina rizze, attualmente detta tripolina, ma in alcune località limitrofe i vermicelli.
Le molliche di San Giuseppe si ricavavano dal pane di grano duro raffermo, bisognava infatti grattè a meddiche di nu puanétte de pène tuéste . In alcuni centri meridionali, era usanza unire al pane raffermo noci, mandorle, nocciole tostate e tritate, pinoli, uva passa, sale fino, noce moscata, peperone macinato, cannella, chiodi di garofano, prezzemolo tritato, aglio, foglie di alloro, buccia di arancia tritata.
Nel nostro territorio invece, la tradizione prevedeva una ricetta molto più semplice e povera.
Una volta ottenute le molliche, occorreva sciogliere nell’olio le migliori acciughe salate ovvero l’alisce de spròne, e nello stesso olio sprisce i meddìchele. A pasta quasi cotta bisognava soffriggere in un altro apposito tegame, con una quantità d’olio proporzionata a piatti da mettere in tavola, altre alici ottenendo così un degno sostituto del sugo di ragù, mentre i meddìchele erano l’alternativa al formaggio.
I maccarune chi meddìchele quindi rappresentavano un appetitoso piatto, per taluni anche stumbèvele, che permetteva ai fedeli di rispettare rigorosamente la legge quaresimale delle astinenze, ma al contempo di festeggiare degnamente un santo tanto amato come San Giuseppe.
A tutti i Geséppe, Giuséppine, Pine, Pinucce, Péppe, Péppine o Puppine, Peppenille, Pippe, Pippétte, Séppe Sande, Sépp’Andónje, Séppe Necóle e Seppudde, tantissimi auguri.
Maria Semeraro