NOCI – Il cenone di S. Silvestro è una tradizione che accompagna, anche da noi, i riti di passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo. Visti i tempi che stiamo vivendo, la maggioranza dei pugliesi sicuramente sceglierà di trascorrere la serata con qualche familiare o amico, opportunamente vaccinato, rinunciando al tradizionale ristorante o locale pubblico, ma ciò che resterà inalterato sarà il menù.
Il cenone è il preludio al pranzo del primo giorno dell’anno ed entrambi sono pasti importanti per la tradizione, anche pugliese o, nello specifico, barese.
In primis, la tavola deve avere una speciale cura per i particolari: la tovaglia, rigorosamente natalizia, i segnaposto e le posate ben disposte oltre che innumerevoli bicchieri e piatti pronti all’uso. Un centrotavola di pigne decorate e stelle di Natale o altri elementi naturali, tipici di questa stagione, completerà l’allestimento.
Effettivamente, almeno fino a tempi più recenti, per la cena di questa serata, non si può parlare di antipasti, primi piatti e secondi perché, in realtà, la tavola presentava diverse portate che, nel loro insieme e nella sequenza, costituivano l’intero pasto.
C’erano e ci sono bruschette al pomodoro ma anche le varianti alla ricotta “aschiuant” o al caciocavallo appena fuso sui carboni, focaccia al pomodoro, baccalà fritto, olive, sottaceti o sott’olio, ortaggi di stagione, ma anche formaggio semistagionato, pastellati e fritti.
Altri piatti tipici erano e sono: rape bollite o stufate, pettole ripiene di acciughe o ricotta “aschiuant” e i “franguillicchi”, minuscoli pesciolini fritti e messi in salamoia per stuzzicare il palato.
Naturalmente, non mancavano, né mancano zampone o cotechino (una volta semplice carne di maiale cotta in una specie di brodo) con contorno di lenticchie che simboleggiano ricchezza e sono di buon auspicio, insieme a riso portafortuna, peperoncino contro il malocchio, uva (almeno 12 chicchi a testa, quanti sono i mesi dell’anno) e melagrana.
Dalla tradizione cinese arriva, oggi, anche il manderino come portafortuna per eccellenza e, poi: nocciole, noci, arachidi, mandorle, datteri, uvetta e fichi secchi (detti anche “chianùn” o, più recentemente, “pesciolini”, quando una metà è riempita di mandorle e l’altra di corteccia di limone). In realtà, la frutta secca, può costituire anche un ingrediente di dolci tipici, come il torrone o il panettone.
La cena terminava e termina, appunto, con dolci natalizi come: bucce di agrumi canditi, pettole cresciute e cartellate, passate nel vincotto, nel miele o nella salsa di melagrana, le tradizionali “fecazz frac’t” ripiene di vincotto, noci, limone candito, cannella e semola, torrone col vincotto (poi anche sostituito dal miele), pizza dolce di ricotta e canditi e, per finire, un “rosolio”, possibilmente fatto in casa, al limone, caffè, manderino o alloro. Il “nocino”, fatto a giugno, però, era ed è quello che più aiuta la digestione di chi avesse un po’ esagerato a tavola!
La preparazione del cenone partiva giorni prima ed era curata dalle donne della famiglia che, insieme, fra una chiacchiera e l’altra, trascorrevano così il loro tempo.