NOCI – La seconda edizione del Salotto letterario, organizzato dall’associazione locale Presidi del Libro, si è chiusa lo scorso 30 giugno con la presentazione de “Il profondo io. Viaggio dell’anima”, firmato Giuseppe Di Tano. Nella consueta cornice del Chiostro di San Domenico, è andata in scena una profonda riflessione sulla condizione dell’uomo moderno sulla necessità di intraprendere un viaggio che non conduca in posti lontani, ma nel nostro profondo. Presenti al tavolo Gianni Tinelli in veste di moderatore, padre Antonio Cassano osb curatore della prefazione, il prof. Vito Abbruzzi curatore della postfazione e l’ex dirigente scolastico Carmelo Gallo.
L’opera presentata al pubblico si compone di 36 liriche, che affondano le loro radici nell’esperienza missionaria di Di Tano in Albania nel 2009. Un’esperienza che lo ha portato a contatto con una realtà diversa e che inevitabilmente lo ha condotto ad una profonda riflessione. Un’esperienza che ha permesso allo scrittore di comprendere la vera felicità, che risiede nel dono e che l’uomo contemporaneo spesso non riesce ad afferrare, rifugiato com’è in se stesso, capace di ascoltare soltanto l’eco dei propri pensieri e di ripetere ossessivamente “io”. L’ “IO” che Giuseppe Di Tano mette su carta è un “IO” diverso, che si nutre di essenza e non di apparenza, che concepisce la grandezza della vita e la fragilità della stessa, che percepisce il vuoto e che cerca di riempirlo con una tensione verso Dio.
Il libro presentato è un viaggio verso una terra inesplorata, costellato di ostacoli e successi, solitudini e amori, perdite e ritrovamenti. È un viaggio nel silenzio, in cui si ode soltanto la voce dell’anima, la voce della natura, la voce di Dio. È un viaggio verso il senso della vita, che si trova al termine della strada. Un senso che è fatto, spiega Di Tano, di amore fraterno, di pace e di capacità di amare.
Le liriche dell’autore offrono tantissimi spunti di riflessione, sui temi della paura, della lontananza, della solitudine, della ricerca, del rapporto con la natura che apre al rapporto con Dio. Temi in merito ai quali, i relatori presenti, offrono la loro visione, puntuale ed illuminate. E così, ad esempio, il prof. Gallo propone l’analisi della significativa dicotomia tra l’“uomo di superficie”, definito tale dal prof. Vittorino Andreoli e il “profondo IO” di Di Tano. Da una parte l’esteriorità, l’apparenza e il vuoto di sostanza, dall’altro il singolo che valorizza il cuore, che ha dentro di sé la sua felicità e la sua essenza.
È infatti un singolo il protagonista del libro, che è solo ma che sfrutta la solitudine per trovarsi. L’opera stessa presenta come dedica “a chi è solo”. La solitudine, osserva padre Cassano, consente l’incontro, del solo con il solo. Egli ritiene, infatti, che la fede possa essere intesa come farmaco per la solitudine, ma non perché l’annulli ma perché consente di trovare Dio ed una volta trovato non ci sentirà mai più “uno”. Sulla stessa scia il prof. Abbruzzi sottolinea, tra le altre cose, come questo senso di ricerca, di valore da trovare, di tensione verso sé e quindi verso l’altro e verso Dio, sia esemplificato nella lirica “Incognita” di Giuseppe Di Tano.
Proprio la ricerca è la molla per il viaggio, di cui Di Tano fa il suo resoconto tra le pagine della sua prima fatica letteraria. Un viaggio che, conclude l’autore, ciascuno di noi dovrebbe fare almeno una volta nella propria vita. Per quanto paradossale, questo viaggio si può compiere solo fermandosi ed è ciò che l’uomo del XXI secolo non riesce più a fare. Il mondo ci vuole rapidi, ci vuole di corsa e sempre in orario e anche noi pretendiamo di essere veloci, in modo che qualcuno ricordi il rumore del nostro passaggio. Anarchica erranza di chi ha perso il senso, la direzione, la strada.
È per questo che Giuseppe Di Tano propone un percorso di riscoperta, che ci faccia tornare ad essere semplicemente uomini, non robot o bestie. L’autore è ben consapevole della complessità dell’invito che il suo libro rivolge e commenta “la mia è un’utopia”. Eppure, il primo passo per avere un mondo migliore è progettarlo. E per quanto chimerico Giuseppe ha scelto di crederci, perché, conclude citando Pessoa: “ho in me tutti i sogni del mondo”.