NOCI – Il 24 giugno, secondo il calendario liturgico, è il giorno dedicato a San Giovanni Battista, il quale, a differenza degli altri compagni di calendario, festeggia il giorno di nascita, e non di morte. A Noci i suoi festeggiamenti uniscono lo spirito di un quartiere dove tutti i suoi abitanti ne sono coinvolti. La parte sud del centro storico e dell’estramurale, si illuminano a festa rinnovando una tradizione che si perde nel tempo.
Grazie all’aiuto di Mario Gabriele, Pietro Gigante, Giovanni Laera del Centro Studi sui Dialetti Apulo-Baresi e di Vittorino Curci, andremo alla scoperta di una festa che ha tanto da raccontarci, tanto da essere divisa in prima e seconda parte. La suddivisione in paragrafi serve a facilitare la lettura, data la grande quantità delle informazioni, permettendo di interrompere il discorso quando si vuole, per riprenderlo in seguito.
Nella seconda parte della tradizione legata ai suoi festeggiamenti, scopriremo il vero legame tra i nocesi e il Santo, nonché due tradizioni che li hanno da sempre appassionati.
LA FESTA NEI SECOLI. Già dalla seconda metà del ‘500, dove oggi è collocata l’edicola votiva dedicata a San Giovanni, era presente una cappella sotterranea edificata per volontà di Scipione Sisto, primicerio del paese, ad immagine e somiglianza del sepolcro di Cristo e delle grotte-catacombe cristiane. Durante la costruzione della cappella fu commissionato un quadro con l’effige del Santo, di chiara scuola napoletana. Con la costruzione della cappella, incomincia anche la devozione nocese per San Giovanni e tale culto si trasformerà in una sagra rionale, la quale era organizzata da tutti gli abitanti della zona vicino alla chiesetta. Non ci sono date precise sull’inizio della devozione nocese, ma a partire dai primi anni del 1900 si istituisce la festa così come la conosciamo oggi. Tra i primi curatori vi era il fabbro Antonio Basile (Stèse Mèste Rasòle), il quale la organizzava insieme ai suoi aiutanti. In seguito, nel 1930, Francesco Fusillo e suo figlio Anastasio (Cappedduzze), diventando i nuovi proprietari sia della chiesetta, sia dei palazzi adiacenti, organizzano i moderni festeggiamenti insieme agli abitanti del quartiere, coinvolgendo tra gli organizzatori il fabbro Antonio Morea (Taggljène) e il sellaio Antonio Miccolis (Séppelapònde).
Negli anni ’50, con la demolizione della cappella e la costruzione dei moderni palazzi, il quadro lascia il posto a un bassorilievo, tutt’oggi ancora presente nell’edicola votiva. Nel 1976, invece, il maestro nocese Mimmo Fiorelli realizza l’attuale statua in legno del Santo, la quale sarà appoggiata su un’apposita base realizzata dal falegname Giovanni Roberto, un altro collaboratore nei festeggiamenti. Quell’anno, la scultura è portata in processione per le vie del paese, venendo depositata, infine, nell’attuale edicola dell’omonima via. Le celebrazioni iniziano, così, a diventare sempre più popolari tra i nocesi tanto da arricchirsi di iniziative come il palo della cuccagna, la gara di trotto, la sagra del vino, la gara della bassa musica, i vari fuochi d’artificio, realizzati dal fuochista ufficiale di Noci Francesco Curci (Mejène), e le illuminazioni installate da Rocchetto Dogali (Rocchétte a Fenaliste). In seguito alla morte di Francesco Fusillo, il figlio Anastasio si farà promotore dell’organizzazione della festa, fondando il Comitato di San Giovanni, a cui si aggiungerà, nel 1986, Nicola Curci, il quale organizzerà la festa di San Giovanni fino ai giorni nostri, prendendo parte, nel 2000, al restauro della statua.
Purtroppo, dalla loro istituzione, i festeggiamenti non sono stati perpetui nel tempo, subendo negli anni diverse interruzioni come quella causata dallo scoppio della seconda guerra mondiale. A seguire, nel 1975, la festicciola rionale non vede la luce a causa della concomitanza con le elezioni amministrative e la candidatura a consigliere di un membro del comitato organizzatore. Nel 1988, ritorna dopo un buco durato ben 5 anni e in alcuni anni del primo decennio del nuovo millennio la festa si ridimensiona alla sola funzione religiosa. Nonostante tutto, la festa è riuscita ad arrivare fino ai giorni nostri e la speranza è quella di rinnovare di anno in anno il suo appuntamento, il quale da tanti secoli l’ha legata al nostro paese.
MUSICA MAESTRO. Un’altra delle tante peculiarità della festa di San Giovanni era la Bassa Musica, da non confondere con la banda cittadina Santa Cecilia – Giuseppe Sgobba o la banda da giro denominata Storico Gran Concerto Bandistico M° Giuseppe Chielli. Formata da 5 o 6 elementi e composta da tamburi, piatti, grancassa e pifferi, girava per il paese già dalle 8 del mattino e la sera si esibiva nel rione. Da tutti era considerata un’esibizione allegra e divertente, capace di portare il buonumore tra le vie cittadine. La sua popolarità ha portato, nel 1973, all’istituzione del Festival delle Basse Musiche, una manifestazione in cui si sfidavano alcune tra le migliori basse musiche dei paesi limitrofi. Inoltre, rimanendo sempre al tema musicale, sul palco allestito sull’estramurale, si esibiva la cosiddetta Orchestrina, ovvero uno spettacolo musicale in cui erano eseguiti brani di musica leggera e canti popolari. Durante questa manifestazione, era solita esibirsi la figura di Piripicchio, una famosa maschera barese novecentesca.
IL PAESE DELLE MERAVIGLIE. Arriviamo a uno degli elementi principali della festa rionale di San Giovanni, ovvero l’albero della cuccagna. Prima di parlare di questa tradizione, però, bisogna capire cos’è la cuccagna, prim’ancora che essa si trasformi nel famoso albero. Come riportato dal Vocabolario delle parole del dialetto napoletano che più si scostano dal dialetto toscano scritto da Ferdinando Galiani e pubblicato nel 1789, il termine cuccagna, significa «divertimento concesso un tempo alla popolazione di Napoli, consistente in una montagna dalla cui cima, tipo Mongibello (altro nome dell’Etna), uscivano maccheroni, salsicce e pezzi di carne cotta, i quali rotolavano sul dorso della montagna ricoperto di cacio grattugiato».
Inoltre, il termine è stato utilizzato nella letteratura di tutti i tempi, dal Decamerone di Giovanni Boccaccio a I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, per indicare il nome di un fantomatico paese dove il benessere, l’abbondanza e il piacere regnano sovrani. Infatti, questa città immaginaria è citata fin dai tempi delle commedie greche e lo si trova nei testi di molti popoli europei. Questo fa capire la grande diffusione del termine di origine gotica, il quale conserva la stessa radice della parola inglese cake, cioè torta.
L’ALBERO DELLA CUCCAGNA. Come già accennato per il rito terapeutico della Madonna della Croce, l’albero è da sempre stato sinonimo di vita, diventando un simbolo per molte culture europee. Le popolazioni germaniche onoravano gli alberi e gli dei a loro collegati attraverso dei doni, i quali venivano appesi ai rami degli alberi consacrati. Inoltre, gli alberi erano i protagonisti delle principali feste arcaiche, cioè il solstizio d’estate e il solstizio d’inverno. Mentre in quest’ultimo, il culto era facilmente associabile all’albero di Natale, per l’estate, esso era associato proprio all’albero della cuccagna. Sembra, infatti, che tale culto sia la trasformazione in gioco dall’arcaico rito dell’albero sacro di maggio, ovvero «un notissimo quanto antichissimo divertimento popolare, il cui l’albero era lo stesso utilizzato sulle navi, che, unto di grasso, alla cima era coronato di salami, formaggi, e cose simili, premio di chi primo lo monta», come riportato nel già citato Vocabolario delle parole del dialetto napoletano di Ferdinando Galiani.
LA CUCCAGNA NOCESE. Proprio per questi motivi, a Noci, la tradizione dell’albero della cuccagna la si ritrova nella festa rionale di San Giovanni, quando, intorno alle 23.00 del 24 giugno, un gruppo di persone cerca di arrivare in cima e raccogliere tutti gli alimenti lì appesi. Anticamente, erano molti i gruppi, anche di diversi comuni pugliesi, che cercavano di contendersi gli ambiti premi gastronomici, formando una vera e propria sfida a chi fosse il migliore. Col passare del tempo, il numero è andato sempre diminuendo, fino ai giorni nostri dove solo 5 persone, tutte nocesi, cercano di arrampicarsi fino in cima. Tra i vari alimenti, oltre ai vari salumi, caciocavalli, frutta e altri prodotti, un tempo veniva innalzato un agnello vivo, come accaduto nel 1974, o, come accaduto nel 1973, un bambolotto con in mano una banconota da 10 mila lire. Inoltre, questa tradizione non è stata perpetua nel tempo. Tralasciando gli anni in cui la festa rionale non ha preso piede, nel 1991, la sfida al palo della cuccagna non vede partecipanti, forse per il costo un po’ troppo salato della tassa di iscrizione.
Oltre all’albero della cuccagna del giorno di San Giovanni, nel corso degli anni, a Noci, ci sono state altre festività in cui si è replicata questa tradizione. In uno degli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale, il 13 giugno, in occasione dei festeggiamenti nocesi in onore di Sant’Antonio da Padova organizzati dal Vincenzo Gigante, un palo della cuccagna veniva installato nella piazzetta alle spalle della Chiesa del Purgatorio, luogo dove dimorava anticamente una delle due statue del Santo. Anche in tempi più recenti, altre manifestazioni hanno goduto del palo della cuccagna oltre alla festa di San Giovanni. Il 2 luglio, giorno in cui si festeggia Santa Maria delle Grazie, è stato allestito un albero della cuccagna nei pressi dell’omonima statua in via Europa, solo in occasione dei festeggiamenti del 2004.
U SORGE E A GATTE. A conclusione dei festeggiamenti del Santo, la tradizione prevedeva anche lo spettacolo dei fuochi pirotecnici, i quali richiamavano una dimensione folklorica presente in tutta Europa. Nella notte di San Giovanni, infatti, si accendevano dei fuochi per celebrare l’estrema potenza del sole e per accompagnarlo nella sua fase decadente. A Noci, al posto di accendere un falò come accadeva già nella notte di Santa Lucia, si pensò di incendiare dei fuochi pirotecnici, conosciuti con il nome di u sòrge e a gatte, in cui due piccoli razzi si rincorrevano lungo un filo, ad imitazione dell’inseguimento tra il topo e il gatto. Tale dimensione folklorica richiama un rito fenicio in onore del Dio del Sole e protettore dalle paure del buio Moloch. Nello scontro tra i due animali, nemici per antonomasia, il gatto rappresentava il fuoco-sole, con i suoi occhi gialli capaci di guardare nell’oscurità, risaltando nel buio della notte, e il topo rappresentava le tenebre, essendo un’animale essenzialmente notturno. E se questo era lo sketch pirotecnico più conosciuto, anticamente si riproducevano, anche, la cavalcata dell’asino, il ballo del pagliaccio e fabbri all’incudine. Nello specifico, quest’ultimo spettacolo pirotecnico si rifà alla leggenda secondo cui Cristo e alcuni Santi ridavano la vita ai corpi passandoli nel fuoco della forgia. Purtroppo, nonostante i tanti significati nascosti, oggi nessuno è riuscito a riprodurre e continuare questa antica tradizione.
ALTRE TRADIZIONI. Se non siete soddisfatti delle tante notizie legate al culto di San Giovanni, eccovi altre interessanti tradizioni che affondano le proprie radici nel passato e si sommano alle già tante usanze elencate. Una di queste, denominata U cumbuère de San Gevuanne, vedeva nel 24 giugno la scelta del padrino di un battesimo, in onore dell’iniziazione effettuata a Gesù da parte di San Giovanni, sulle rive del fiume Giordano. Questo speciale e forte legame comparatico univa le due famiglie per ben 7 generazioni. Inoltre, al Santo è legata un’altra antica leggenda, conosciuta nel nostro paese come u suénne de San Gevuanne. Si narra, infatti, che Giovanni Battista, dormendo consecutivamente dal 23 al 25 giugno, impedì a Gesù di fargli gli auguri di buon onomastico. Il racconto, come già detto, è solo frutto della fantasia, data l’inesistenza degli onomastici, ma serviva, comunque, a sottolineare quanto profondo possa essere il sonno di una persona, paragonata, secondo questo mito, a quello di San Giovanni. In una seconda versione, invece, il povero Santo, dormendo a lungo, perde tutto il suo gregge.
Concludiamo tutta questa epopea con un altro modo di dire, questa volta legato al solo nome Giovanni, senza alcun riferimenti al Santo, ovvero ce te n’assce nu figghje minghiarile, o chiàmele Gevuanne o falle garbenire. Come mai è utilizzato proprio il nome Giovanni? A iniziare dal Medioevo e sino agli inizi del ‘900 del secolo scorso, il nome proprio di persona più diffuso tra i maschi in Italia era proprio Giovanni. Come spesso accade, i nomi di persona molto frequenti subiscono un peggioramento semantico trasformandosi in nomi comuni. Di fatti la donna Berta e il Ser Martino del tredicesimo canto del Paradiso dantesco sono nomi convenzionali di uso assai frequente nella letteratura medievale e indicano persone qualunque, lo stesso dei nostri Tizio e Caio. Così, il Giovanni del detto, ha assunto, sempre per peggioramento semantico, il significato di sciocco, allocco e stupido.
Come è stato possibile notare, sono tante le curiosità legate a questa singola festa, le quali, mescolandosi tra loro, ci portano in una dimensione magica in cui si fa festa giocando, cantando e mangiando. A conclusione di questi due articoli, proponiamo la poesia San Gevuanne di Pietro Gigante, capace di riassumere, in rima, tutto quanto detto finora.
(Si ringrazia Pietro Gigante per le fotografie della festa di San Giovanni. Inoltre, l’immagine della cappella dedicata al Santo è stata estrapolata dal libro Noci: percorsi storici nel centro antico di Pasquale Gentile).