Ogni anno il 2 giugno si celebra l’anniversario della Repubblica italiana, nata nel 1946, dopo un referendum popolare, esteso per la prima volta anche alle donne. Con la scelta degli italiani per la forma di Stato repubblicana, ebbe inizio un periodo di rinnovamento, in particolare per le donne che esigevano la parità dei diritti con l’uomo. Ciò consentì la loro emancipazione dal tradizionale ruolo domestico ad un ruolo attivo, fondamentale nella società. Infatti, si susseguirono dei movimenti femministi che determinarono la realizzazione di fondamentali traguardi verso la parità dei diritti: la legge sul divorzio nel dicembre del 1970, la sanzione della comunione dei beni tra i coniugi nel maggio 1975, l’interruzione volontaria della gravidanza nel maggio del 1978.
Nel contempo, in 75 anni di storia repubblicana, l’Italia non ha mai avuto un Presidente della Repubblica donna, né tantomeno una Presidente del Consiglio dei Ministri donna, bensì dal 1946 si sono susseguiti solo uomini eletti in una concezione di lottizzazione politica finalizzata ad una forma clientelare di patronato politico. Oltre a ciò, ci sono state rare candidate alla Presidenza della Repubblica, la prima delle quali fu Ottavia Penna Buscemi, poi Nilde Iotti e Tina Anselmi.
Al contrario, da uno sguardo veloce all’esercizio del potere in Europa, emerge che nelle altre Nazioni vi sono donne che hanno ricoperto un ruolo di leadership.
A partire dal 26 gennaio 2021, in Estonia, è stata nominata Primo Ministro Kaja Kallas, figlia di Kristi Kallas una donna dalla forza incontenibile, emblema di resistenza e resilienza, deportata in Siberia nel cuore dell’infanzia. Il Primo Ministro Kaja Kallas è, anzitutto, un’avvocatessa, ma ha compreso che il suo “fuoco interiore” ardeva per le discipline economiche e per la politica. Europeista, determinata, progressista, Kaja Kallas è la prima donna a ricoprire il ruolo di Primo Ministro nel suo Paese.
In Italia, la formazione del suo Governo è stata considerata una notizia extra-ordinaria, senza precedenti. È giusto stupirsi nel vedere una Leader donna in politica? Non dovrebbe essere, nel ventunesimo secolo, una condizione comune a tutti i Paesi dell’Unione Europea e non solo? Le donne in politica sono ancora in netta minoranza rispetto agli uomini: sono solo il 36% in Europa e il 14% nel mondo.
In Italia, anche se il pensiero comune sta evolvendo, la leadership è considerata ancora una caratteristica prettamente maschile. L’uomo è ancora considerato il cosiddetto “sesso forte”: una figura fisicamente e potenzialmente più forte. La donna invece, è ancora “avvolta” in un velo di pregiudizi che confermano uno stereotipo oramai obsoleto che contribuisce a renderla, agli occhi del cittadino medio, come una figura emotiva, fragile ed adibita a pratiche finalizzate esclusivamente all’attaccamento. È davvero così? No.
La storia lo conferma: si sono susseguite Imperatrici e Regine come Semiramide e Didone, fino a giungere nel Novecento con l’audace e coraggiosa Regina Elisabetta II. Ancora oggi con l’intervento, ad esempio, di Zuzana Caputova, Presidente della Repubblica Slovacca o di Katerina Sakellaropoulou, Presidente della Repubblica in Grecia. Tuttavia, secondo recenti studi, condotti dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (il c.d. “EIGE”) nel 2019, l’Italia presenta i punteggi più preoccupanti, in Europa, in termini di disparità di genere in vari settori lavorativi.
Nel prossimo gennaio 2022, il Parlamento in seduta comune dovrà eleggere il nuovo Capo di Stato italiano, scegliere una donna si rivelerebbe un modello da seguire per le cittadine, soprattutto per le più giovani. Una donna competente e con un background di studi socio-politici ed economici potrebbe avere tutte le “carte in regola” per prendere decisioni, rappresentare il Paese all’Estero e dimostrare una forte sensibilità verso le esigenze del cittadino. Modificare strutturalmente il modo di guardare le donne in politica è possibile e fortemente auspicabile. L’Italia dovrebbe infatti, maturare più fiducia nei confronti del genere femminile. A farlo dovrebbero essere le stesse donne, ma, in primis, noi uomini.
A questo proposito, non si può non citare Ursula Hirschmann, politica e antifascista tedesca, socialdemocratica e fautrice del federalismo europeo, che sostenne: “le donne devono cominciare prima a liberarsi delle loro catene individuali (la lotta per l’aborto, per la parità salariale, ect.) e in seguito occuparsi di politica”.
Stefano Emanuele Matarrese