NOCI – Quando un paese ha una propria ricchezza, la maggior parte delle volte si tende a dimenticarla. È quindi nostro il compito di riportare alla luce vecchie tradizioni e mestieri, come quelli degli artigiani, che ancora oggi continuano ininterrottamente il loro lavoro, integrandosi perfettamente con un mondo fatto di nuovi mestieri e nuove tecnologie. E avere nel proprio paese uno dei due calzolai sopravvissuti ancora oggi in Puglia (l’altro si trova a Tricase, nel leccese), con un’attività che va avanti da più di 150 anni, è simbolo di vanto per noi, al pari di monumenti e illustri personaggi che negli anni hanno fatto grande la storia di Noci.
Dal 1865, con una tradizione che abbraccia quattro generazioni, Rocco Recchia, classe 1956, continua ancora oggi un lavoro di artigianato tramandato fino ai giorni nostri. Un’attività che il maestro Recchia svolge ininterrottamente da 44 anni, da piccolino, appena diplomato. «Da parte di mio padre c’era la voglia di continuare la tradizione di famiglia, perché lui, più lungimirante di me, vedeva che questo settore poteva portare tanto lavoro. Io inizialmente ero titubante. Poi è subentrata la passione che, unitamente a una questione genetica, ha portato in me la creatività che inserisco in ogni mio prodotto».
Una creatività che deve sempre adattarsi al tempo che scorre inesorabile e che trasforma i metodi di lavorazione rispetto al passato. «Quando ho iniziato, la lavorazione era un po’ troppo tradizionale. Poi man mano si è innovata, con dei cambiamenti sempre a migliorare. Mentre prima era tutto manuale, oggi subentra l’aiuto delle macchine, nonostante la mano rimane sempre l’attrezzo che lavora di più». Questo porta ha una maggiore produzione, che ha permesso di esportare anche in America.
Un lavoro artigianale fatto con cura e maestria, che permette di creare interamente da zero una scarpa adatta a tutti i tipi di piedi. Una lavorazione che impiega minimo due giorni di lavoro, che varia a seconda dei modelli da realizzare e che permette di utilizzare tutti i tipi di pellami, anche i più impensabili. «Ho realizzato anche una scarpa di pesce, precisamente di murena, in collaborazione con un cliente di Crotone».
La tradizione però sta pian piano scomparendo perché non c’è tanta inclinazione da parte dei giovani nel voler imparare, nonostante questo sia un lavoro dove non c’è concorrenza. «Io creo una scarpa su misura, personalizzata, in base alle esigenze. Se non c’è l’artigiano, l’industria non può andare da dietro a quelle persone con piccole anomalie al piede. Mi dispiace che si perda questo mestiere. Io cerco qualcuno che abbia, però, questa passione. Deve rubarmi il lavoro con gli occhi. Oggi però non vedo l’interesse delle istituzioni e delle scuole che non invogliano i ragazzi a vedere le botteghe artigianali, affinché questi si possano innamorare di questo lavoro. Non tutti siamo bravi con la mente. Ci sono ragazzi che sono bravi nel costruire». Quindi non saranno le macchine a soppiantare il lavoro del calzolaio, ma sarà la tradizione che non venendo più tramandata farà morire uno dei lavori più antichi di sempre.
Prima di concludere l’intervista, poniamo al maestro un’ultima domanda, nonostante non centri molto con quanto detto finora: Come nasce lo slogan “La scarpa di Recchia non fa mai vecchia? «Nasce da un’idea di mio nonno il quale chiese a suo cugino, il professore di italiano Vittorio Tinelli, di creare un sonetto che faccia rima con Recchia. Era il 1955». C’è tanta storia dietro ogni artigiano, non solo per quanto riguarda il proprio mestiere, ma anche sull’impronta che lascia all’interno della nostra comunità. Noi cerchiamo di raccontarla per non farla dimenticare, altri cercheranno di continuarla per farla vivere per sempre.
Le fotografie, nell’ordine:
– Prima fase di lavorazione di una scarpa, con l’inserimento di chiodini per farla aderire alla forma
– Alcune fasi della lavorazione, dalla forma iniziale delle pelli, fino al prodotto finito
– Una foto d’epoca raffiguranti il padre Recchia Giuseppe (a sinistra), Recchia Rocco (al centro) e lo zio Recchia Vito (a destra)