NOCI – Il rapporto madre-figlia e l’abbandono genitoriale in un Abruzzo degli anni ’70 sono i temi centrali su cui si è discusso giovedì pomeriggio con Donatella Di Pietrantonio, autrice de L’Arminuta, edito da Einaudi, che le è valso il Premio Campiello 2017.
Ospite di Vivere d’Arte eventi all’interno del Mondadori Point, il dialogo con l’autrice è stato l’ultimo degli Incontri in Libreria, rassegna che si è snodata durante i mesi invernali a Noci. A dialogare con l’autrice Gabriele Zanini, fautore assieme alle titolari della libreria di via Cavour, del ciclo di incontri. Nonostante i tre romanzi di successo, due pubblicati da Elliot “Mia madre è un fiume” e “Bella Mia” (con cui ha partecipato al Premio Strega nel 2014), Di Pietrantonio si richiama a Giammaria Testa per cui «scrivere non è mestiere», ed infatti continua a lavorare come dentista pediatrica nella sua città di Penne (Pe). Per lei scrivere è un modo di esorcizzare le paure col fine di conviverci. «Io ero una bambina spaventata che si serviva della scrittura per tirare fuori queste paure e addomesticarle», dice la Di Pietrantonio durante il colloquio.
L’intervista poi prende i temi più prossimi al libro iniziando dai luoghi in cui è ambientato. Vien fuori l’Abruzzo degli anni Settanta con le sue ambivalenze e le sue differenze come la città costiera della famiglia adottiva (Pescara?) e quella natìa dell’entroterra dell’arminuta, ovvero “la ritornata”, e dal linguaggio limpido e pulito e delle declinazioni dialettali. «Nel libro ho mantenuto l’impegno a non nominare i luoghi anche se ci sono rimandi espliciti alla regione come gli arrosticini, o come il dialetto utilizzando due registri diversi per i personaggi della storia. Non lo volevo mettere per niente ed invece è uno dei romanzi in cui ce n’è di più», confessa l’autrice.
Di qui il rapporto madre-figlia dell’arminuta, la 13enne protagonista della storia di cui non si sa il vero nome, e l’abbandono genitoriale che l’autrice fa discendere dalla mitologia greca e dalle favole gotiche in cui la maternità viene vissuta come un’angoscia. Ed allora, forse, l’arminuta vede un barlume di speranza per la propria vita nella sorella Adriana, una dei cinque nuovi fratelli che la protagonista non aveva mai visto né sentito fino ad allora. «Adriana, che cerca di emanciparsi da questa famiglia che sente stretta, è molto sola – spiega Di Pietrantonio – ma vede come in uno specchio quello che vorrebbe essere nell’arminuta; al contrario l’arminuta vede nella sorella cosa ne sarebbe stato di lei se fosse rimasta lì, e per questo scelgono di allearsi e stare insieme, cercano di recuperare e riparare dalle relazioni con i genitori».
Che proprio Adriana possa essere l’input per un sequel? «Per la prima volta sono tentata di scrivere un seguito ma sono già scoraggiata dalle critiche che potrebbero piovermi addosso. Gli altri libri finivano con la stesura ma per Adriana no, che continua a svegliarmi come quando stavo scrivendo il romanzo».