NOCI – Mentre il paese di Noci è in fermento per l’attesissima sagra di “Bacco nelle Gnostre”, all’interno dell’aula magna dell’istituto professionale nocese “A. Agherbino” i ragazzi del Centro Studi sui Dialetti Apulo-Baresi hanno presentato la terza lezione del corso di dialettologia, intitolato per l’occasione “A frasche e u mire”. Venerdì 4 novembre, proprio alla vigilia della festa che celebra il dio del vino, il Centro Studi ha voluto presentare i miti, la storia e la civiltà del vino, spiegando come questa ha influenzato il dialetto nocese. La lezione, presieduta da Chiara Fasano e Giovanni Laera, ha visto anche la presentazione della nuova pubblicazione da parte del Centro Studi, dedicata non solo al vino ma anche ad un altro prodotto tipico del panorama nocese: le fave.
Ma è il vino l’unico vero protagonista della terza lezione. Attraverso di esso infatti è possibile «viaggiare nel corpo umano, nel pensiero antico, nell’antropologia e nel folklore» invadendo «tutti i campi del sapere umano, condizionandone per sempre l’immaginario». Il vino ha, per esempio, condizionato i soprannomi nocesi (Mire friscke, Minzequinde e Caratidde), i cognomi (Piangivno, Liuzzi e Tinelli), le contrade (Munde d’òre chiamato anticamente I vegnòdde cioè viti basse) e le opere come Canzune Quatrigl’ e Brinnese, la prima composizione del poeta nocese Vittorio Tinelli. A questi si aggiungono i tanti proverbi sul vino, come Na tàvele sénza mire é accòme a na sciurnuète de decémbre sénza sòle, forse il più bello tra quelli nocesi.
Spetta, invece, a Chiara Fasano ripercorrere la storia del vino, una bevanda nota fin dall’antichità. Attraverso le varie usanze greche e romane, è stato possibile conoscere come questa bevanda venisse utilizzata, andando ad analizzare il “magico” e inspiegabile processo di fermentazione dell’uva, tanto da farlo attribuire all’opera di un dio. Proprio attraverso l’uso della bevanda da parte delle due civiltà, è stato possibile capire la derivazione della parola dialettale nocese di vino, ovvero mire, scoprendo la diversa radice di provenienza del suo corrispettivo italiano, col significato di vino non annacquato, puro al cento percento.
L’ultima parte è dedicata alla frasca cioè «il setto d’edera messo come insegna nei locali dove avveniva la mescita del vino nuovo», pianta utilizzata per indicare Bacco, fino ad arrivare ai modi di dire legati al’ubricatura, presenti nel nostro dialetto: pegghiè na pupe, na pédde o na négghie, restùscene, cunigghie, trόzzele, aggiustuarse e vuastarse. A concludere l’evento, Pietro Gigante, espone alcuni brindisi in dialetto nocese raccolti all’interno del libro.
L’appuntamento per l’ultima lezione di dialettologia dell’UTEN e del Centro Studi è fissata per venerdì 11 novembre, sempre alle ore 17.30, questa volta all’interno del Chiostro di San Domenico, dove a seguire, alle 18.30 si svolgerà un concerto di fisarmonica a cura di Giovanni Fanizza in collaborazione con il Concorso Musicale Internazionale “Erik Satie” di Lecce ed inserito all’interno degli eventi della Rassegna di concerti della XII edizione del Concorso Internazionale di Clarinetto “Saverio Mercadante”.